Solo il ministero può chiedere il risarcimento per danno ambientale

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Il ministero dell’Ambiente è l’unico legittimato a domandare il risarcimento per il danno ambientale in sé considerato. Infatti, i privati o le associazioni di cittadini hanno titolo a domandare un ristoro all’autore della condotta che danneggia l’ambiente solo se dimostrano di aver sofferto in proprio un danno patrimoniale o anche non patrimoniale quale conseguenza diretta dell’evento illecito. Secondola sentenza di legittimità n. 1997,depositata ieri dalla terza sezione penale della Corte di cassazione, va appunto affermato che per il danno ambientale, inteso l’ambiente come valore collettivo e quindi pubblico, viene superata la logica alla base della responsabilità civile , cioè la funzione compensativa del risarcimento, e titolare attivo dell’azione civile è solo lo Stato. La Cassazione boccia perciò la sentenza di merito di appello che aveva riconosciuto il risarcimento dei danni a dei privati sulla base dell’affermazione che era stato violato il loro «diritto al godimento di una natura libera e incontaminata oltre che alla visuale del paesaggio violato». Ma tale diritto è appunto di rilevanza generale tale da vedere titolare del diritto al risarcimento – in base al principio “chi inquina paga” – soltanto lo Stato.

Il danno ambientale

Come spiega la Cassazione il danno ambientale ha risvolti pubblici e privati che vanno appunto tenuti distinti per evitare di duplicare le conseguenze di un illecito in tale ambito. Esiste perciò prima di tutto un danno ambientale di natura pubblica che non impedisce però la richiesta di risarcimento da parte di privati o di Regioni e Comuni, se provano l’esistenza di ulteriori danni che verranno riconosciuti in base alle regole della responsabilità civile ex articolo 2043 del Codice civile. Quella che obbliga a risarcire lo Stato per l’ambiente danneggiato, realizzando un’eccezione alla funzione compensativa del risarcimento, è responsabilità di natura extracontrattuale derivante dalla violazione di una norma di legge.

Il deposito incontrollato di rifiuti

Nel caso in esame il ricorrente era stato accusato di aver depositato su un proprio terreno del materiale inerte realizzando di fatto una discarica a cielo aperto in assenza di autorizzazione di legge. Veniva quindi condannato, nonostante la prescrizione dei reati, a risarcire il danno di chi aveva lamentato il nocumento, che andava dal peggioramento del paesaggio al mancato godimento di specie di uccelli prima presenti nella zona, fino alla percezione di un puzzo proveniente dall’area di proprietà del ricorrente. Il punto è che il risarcimento di tali danni, patrimoniali e non, veniva riconosciuto senza una doverosa prova processuale del nesso eziologico tra i comportamenti dell’imputato e le conseguenze dannose lamentate. Sarà ora il giudice del rinvio a verificare specificamente i danni subiti direttamente dal singolo nella propria sfera privata e la causalità della condotta penalmente rilevante. L’eventuale disagio per la natura “rovinata” può essere percepito da chiunque, anche lontano da quei luoghi. Per cui l’ampiezza ipotetica della platea di danneggiati fa sì che il risarcimento vada in capo al soggetto pubblico che tutela gli interessi della collettività. In tali situazioni, quindi, il privato può ottenere un risarcimento per sé solo se dimostra di aver subito – se non un danno patrimoniale – anche un danno morale legato allo stato dei luoghi, magari anche per un breve lasso di tempo.